Prima di avventurarci nella descrizione dei generi televisivi e delle loro implicazioni, devo dedicare un paragrafo all’artefice del format televisivo: l’autore. L’operazione mi resta difficile perché devo definire me stesso e quella che è stata a lungo ed è in parte ancora oggi la mia professione. Proviamoci.
L’autore, è colui che inventa un programma o adatta un format, ed è responsabile della formula generale del programma. Ma l’autore è anche un uomo di marketing: deve vendere la sua idea e far si che la sua idea venda. Anche se va detto che l’autore non è più il solo ad esercitare facoltà creative. Il mondo del lavoro pullula di forzati della creazione che vendono, idea, intelligenza, immaginazione. Parafrasando Pirandello possiamo dire che … il mondo della televisione è piuttosto saturo di autori in cerca di personaggi.
Quali caratteristiche deve avere un autore secondo me? Per rispondere devo tornare indietro con la memoria a circa vent'anni fa e
ad una "conversazione" via mail (Whatsapp non esisteva ancora) che ebbi proprio con quello che considero uno dei migliori autori radiotelevisivi che il nostro Paese abbia avuto in tempi recenti:
Diego Cugia. E di questo conversammo.
La capacità di oggettivarsi. Rendere il più possibile, ovvero tendere a rendere, la propria anima collettiva. Cioè albergo delle anime altrui.
Questo è impegnativo. Non si scrive per se stessi. Si vive.
Scrivere è costruire vita immaginaria in cui le persone possano:
- specchiarsi
- divertirsi
- appassionarsi
- capirsi
Quindi c'è l'esigenza di spettacolarizzare la propria scrittura e la propria visione. Ma questo non significa vendersi.
Un autore, ovviamente, non deve limitarsi a scrivere della sua vita. Tu, scrittore, devi attingere dalle tue esperienze per trasformarle in qualcos'altro, e questo qualcos'altro è la tua arte.
Il carburante che brucia in questo processo è il dolore. Il tuo dolore. Il dolore trasformato in fatti oggettivi li cosparge di verità.
Quindi, la verità vera (quella che il lettore percepisce) non è, come lui crede, la verità del fatto che legge. Ma è la verità del dolore di chi l'ha scritto.
In questo lo scrittore è un prestigiatore. Utilizza e specula sul proprio dolore (non quello altrui) e trasforma l'acqua in vino.
Ecco dunque chi è l'autore.
Ok. Perché tanta poesia? Il motivo è che come altri sessanta milioni di italiani da ragazzo aspiravo a diventare o allenatore della nazionale oppure autore televisivo. Adesso, per rimettere i piedi a terra, uno spunto per definire concretamente l’autore televisivo mi viene dalla lettura di un saggio del Professor Renato Parascandalo dal titolo “La televisione oltre la televisione”. Ecco uno stralcio.
“La condizione degli autori – scrive il saggista - non differisce molto da quella dei manager: anche la loro professionalità è, infatti, subordinata alla finalità
dell’azienda per la quale lavorano. Se essa persegue il raggiungimento del massimo ascolto, l’idea di un programma di varietà troppo arguto, giocato su doppi sensi di non facile comprensione, con
dialoghi alla Woody Allen, sarebbe respinta, perché l’eccesso di qualità potrebbe compromettere la quantità dei telespettatori (…) la creatività di un autore televisivo, molto più di quanto non
accada nel cinema o nella letteratura, è vincolata, imprigionata nei confini dell’apparato e del suo modello produttivo. Né si può essere così ingenui da pensare che possa esistere una vera
dialettica tra autore e televisione: quest’ultima pretende dagli autori solo ciò che il pubblico può assimilare, tutto il resto non può essere preso in considerazione (…) l’autore quindi,
se vuole sopravvivere, deve diventare anche lui, come il manager, un conformista, avere cioè una certa propensione alla frustrazione. Se saprà adattare la sua fantasia e la sua inventiva
a queste esigenze e, mescolando sapientemente luoghi comuni, riuscirà a farne un programma televisivo, avrà buone probabilità di diventare un autore di successo. Il quadro che si è presentato non
è edificante ma, purtroppo, risponde alla realtà. Ed è una risposta a quanti, giustamente, si chiedono perché la televisione commerciale – e anche quella pubblica quando prende a
scimmiottarla – facciano programmi sempre più banali e ripetitivi. Il problema non è la mancanza di creatività degli autori, ma la loro castrazione intellettuale. Gli spazi pubblicitari
sono venduti alle agenzie con mesi d’anticipo sulla programmazione. In quella fascia oraria lo share dev’essere garantito, non si possono correre rischi con sperimentazioni o innovazioni
ardite”.
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Questa guida è a cura di Alessandro Mosca, autore e ricercatore, collabora con la RAI dal 1991. Ha lavorato come esperto nel settore analisi e ricerche di mercato del VQPT RAI e come autore sia radiofonico che televisivo.