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Bene, se nel capitolo precedente abbiamo avuto qualche difficoltà nel definire il variegato mondo del Terzo Settore, altrettanto sforzo dobbiamo fare per collegare a questo mondo un tipo di comunicazione. Viene spontaneo parlare ovviamente di comunicazione sociale. Illustri esperti hanno tentato una definizione di comunicazione sociale e scritto che “scopo della comunicazione sociale è quello di aumentare il livello di consapevolezza e conoscenza dei cittadini relativamente a problemi di interesse generale, anche nella prospettiva di modificare comportamenti o atteggiamenti”. Per esempio, le attività finalizzate ad avvicinare dei cittadini a norme o servizi; le attività che promuovono valori o diritti; quelle di chi fa rappresentanza socio-economica; o perfino le attività delle imprese quando comunicano qualcosa di non commerciale.
È chiaro quindi che la comunicazione sociale sia un modello di comunicazione non solo appannaggio del Terzo Settore (in cui è però dominante) ma riguarda più in generale enti, ministeri, regioni, comuni, associazioni non profit ed anche imprese private che attuano iniziative di carattere sociale e non direttamente orientate ad un profitto economico.
È però una comunicazione fortemente tematica: prevenzione di malattie, benessere collettivo, difesa dell’ambiente, cooperazione internazionale, solo per citare alcuni argomenti ricorrenti.
Come vedremo nei prossimi capitoli, si tratta di sensibilizzare l’opinione pubblica nell’affrontare problemi di carattere e interesse collettivo partendo dalla modifica e dal
cambiamento di atteggiamenti e comportamenti degli individui e dei gruppi sociali. Un tipo di comunicazione che nel caso del Terzo Settore, è anche finalizzata al fund raising e allo sviluppo di
attività di lobbying.
Una cosa è certa. Prevale oggi la tentazione di fare comunicazione sociale con gli stessi strumenti, tecniche e magari uomini (agenzie) con le quali si fa comunicazione commerciale. Come ho letto in un forum, una PR americana, Dorothy Levy ha detto “la sensibilizzazione del pubblico non è un’aspirazione che puoi soltanto agognare, ma è qualcosa che puoi comprare. Tu investi nel tuo tempo, le tue competenze e i tuoi budget (per consulenti, tipografie e spese per specialisti in comunicazione) e ciò che ottieni per questo è sensibilizzazione”. Insomma una visione molto concreta, forse troppo, del nostro lavoro, sulla quale non sono d'accordo. In fondo spero che anche la (buona) comunicazione abbia un'anima!
Che siate d’accordo o meno con questa affermazione, siamo tutti consapevoli che, il limite delle iniziative di sensibilizzazione (incentrate solo sugli aspetti informativi) è dato dall’incapacità di interferire nella sfera cognitiva e attitudinale. Insomma passare dalla teoria e dalla buona volontà alla soluzione dei problemi. È la cosiddetta "informazione non partecipata".
L’informazione non partecipata (anzi imposta, come negli spot martellanti di una qualsiasi gassosa) limita il suo impatto a livello cognitivo.
Non c’è interattività,
Non c’è formazione,
Non c’è adattamento del messaggio a target diversi.
Gli effetti in termini di cambiamento culturale sono piuttosto limitati.
Il processo di una buona comunicazione sociale dovrebbe viaggiare quindi su un binario diverso da quello del battage pubblicitario. L’ambizioso obiettivo sarebbe infatti quello di colpire il target non solo sul fronte del sapere (essere informati su un prodotto, un servizio o appunto un’idea) ma anche su quello del saper essere e saper fare:
Una nota in chiusura: non confondiamo questa definizione di comunicazione sociale con quella di comunicazione istituzionale/aziendale. La comunicazione istituzionale/aziendale riguarda le imprese (specie quelle di grosse dimensioni), nella loro interezza e pone al centro del messaggio la loro identità, i loro valori, i loro progetti. è vero comunque che, gli strumenti di comunicazione sociale e istituzionale in parte coincidono (la gestione dei rapporti con i media, la lobbying, la pubblicità, i congressi o le convention organizzative, ecc. ne sono un esempio).
All’interno della comunicazione istituzionale, ritroviamo in particolare tutte quelle iniziative a sfondo culturale, artistico, scientifico o sociale che le imprese supportano per contribuire allo sviluppo del proprio paese, affiancando, con l’investimento di proprie risorse, la funzione istituzionale dello Stato e che sono l’oggetto delle competenze e dei servizi offerti da molte società di consulenza.
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Sempre per chiarezza di termini va ricordato che è anche e soprattutto “comunicazione istituzionale”, ogni forma di comunicazione legata all'esigenza di creare un rapporto più diretto tra le istituzioni e i cittadini, cioè la cosiddetta comunicazione pubblica. Le cui qualità principali devono essere: la chiarezza, la facilità di accesso all'informazione e l’esaustività. È comunicazione pubblica quindi ogni forma di comunicazione che proviene dalla pubblica amministrazione e riguarda perciò l’interesse generale.
Se allora l’oggetto della comunicazione pubblica (istituzionale) consiste nella tutela dell’interesse generale, sotto l’ombrello di comunicazione pubblica ci possiamo sicuramente mettere anche la comunicazione sociale o come altri la definiscono, la comunicazione di solidarietà sociale.
Come vedete abbiamo più definizioni come sempre, e anche molto distanti tra loro: termini, come spesso capita nell’ambito della comunicazione, che indicano campi dai confini incerti.