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Per comprendere il significato di una azione e della necessaria strategia di comunicazione che la precede, quale essa sia e con quali strumenti, il primo passo è sempre quello di
arrivare a definire una scala gerarchica di importanza degli obiettivi da assegnare all'azione stessa (almeno in termini di obiettivo principale e obiettivi specifici),
stabilendo contenuti, mezzi e pubblici di riferimento. Insomma occorre un buon piano di comunicazione.
Una premessa: la nostra comunicazione deve essere il più possibile coerente, deve avere un look ben preciso, questo ci aiuta a consolidare il nostro brand, ci rende
riconoscibili, visibili, “ricordabili”, in una parola avere una immagine ci fa risparmiare tempo e denaro.
Facciamo allora una ipotesi per il piano di comunicazione (organizziamo i mezzi in maniera coerente, scriviamo un progetto) e facciamolo con gli stessi metodi e ponendoci domande
analoghe a quelle relative alla promozione di un prodotto commerciale perché – almeno in linea di principio – anche quello delle “idee” è un mercato nel quale l’obiettivo è vendere.
La prima considerazione è quella di scegliere il mercato, domandiamoci allora:
- in quale realtà operiamo?
- che tipo di “servizio” richiede il mercato?
- esiste una concorrenza?
- in cosa la nostra offerta è specifica?
La seconda considerazione riguarda i mezzi:
- quali risorse abbiamo a disposizione?
La terza considerazione riguarda gli obiettivi:
- quali obiettivi vogliamo raggiungere? (a breve, medio e lungo termine): un governo straniero? Il nostro? Il pubblico in generale? Un governo locale? Un segmento
specifico dell’opinione pubblica? Casalinghe, studenti, imprenditori?
- su quali tematiche vogliamo puntare?
Ma fare un piano significa soprattutto stabilire una “strategia di comunicazione”. Nel caso del Terzo Settore il
lavoro è arduo. Si tratta di:
-
creare una immagine positiva e i tempi molto lunghi: perché significa rafforzare i rapporti con gli enti pubblici, investire nelle professionalità della comunicazione senza
improvvisare, ricercare volontari che facciano conoscere la propria organizzazione a più persone possibile, cominciare a contattare “grandi donatori”, preparare i primi materiali informativi
(lettere di presentazione, schede progetti, redazione di una brochure, partecipazione ad eventi organizzati da altri).
- per la nostra strategia di comunicazione allargare il campo di diffusione dell’immagine: campagne stampa nazionali e conferenze stampa (quando servono), maggiore investimento
in termini pubblicitari, organizzazione di eventi come seminari e dibattiti (sempre e solo se abbiamo veramente qualcosa da dire): insomma tutto ciò che torna utile per creare un movimento di
opinione attorno ad uno specifico progetto
-
raccogliere fondi: con campagne pubblicitarie e azioni di direct marketing, perché le associazioni è soprattutto
di questo che vivono e a volte lo dimenticano …
In conclusione, ecco le sfide che la nostra strategia di comunicazione dovrà vincere per essere efficace:
- La strategia di comunicazione dovrà produrre messaggi profondi, e non soltanto strumentali e superficiali.
- Dovranno essere trattati argomenti ampi e interessanti per i destinatari, non soltanto per i comunicatori.
- L'azione di comunicazione dovrà avere tempi sufficientemente lunghi per essere assimilata, e semmai dovrebbe prevedere un’istituzionalizzazione e quindi una permanenza (no
quindi alla comunicazione intermittente, più dannosa del silenzio).
- La comunicazione dovrà essere legata alla realtà: i vantaggi dovranno risultare lampanti e allo stesso tempo non ci saranno promesse non mantenute. Se si decide, infatti,
intenzionalmente un’azione di comunicazione, si deve sapere che s’induce a un comportamento chi riceve la comunicazione, insomma comunichiamo solo per creare un feedback, altrimenti non è
comunicazione, al massimo è propaganda.
- La comunicazione sociale ha i suoi tempi:
- analizziamo le scadenze interne, domandiamoci: abbiamo altri impegni di comunicazione? C’è sovrapposizione con altre campagne di altri enti?
risorse umane ed economiche adeguate?
- analizziamo le scadenze esterne, domandiamoci: qualcosa può favorire la nostra campagna? c’è un rischio di strumentalizzazione? La
"concorrenza" sta facendo una campagna analoga?
Ora c’è da fare un’ultima riflessione sui contenuti della nostra comunicazione; ed è solo per praticità che collochiamo questo argomento in chiusura di capitolo.
Ovviamente ciascuna organizzazione ha i suoi obiettivi, le sue priorità, le sue specificità, per questo qui non possiamo generalizzare. Riprendiamo allora per comodità l’esempio che stiamo
seguendo in questa mini guida, quello delle Ong (che pure come sappiamo appartengono
esse stesse da un universo variegato e complesso).
Sicuramente però alla base della comunicazione “etica” c’è la solidarietà che è l’ideale comune denominatore del nostro sottoinsieme. Quella solidarietà che ci permette di
raggiungere un arricchimento di significati e di modelli perché ci permettere di condividere altri significati e altri modelli. Certamente quei contenuti riguardano:
- la disponibilità al cambiamento
- l’accettazione dell’altro
- la cooperazione ad un progetto comune
Riassumendo quindi, la nostra strategia di comunicazione avente come promotore una Ong deve, in linea di principio:
- rendere le ONG interlocutore credibile a rappresentare la voce più importante nella cooperazione allo sviluppo in Italia presso i vari pubblici di riferimento, con un’azione di comunicazione
rivolta decisamente all’esterno;
- informare sul sistema delle ONG e circa lo stretto legame con la capacità di realizzazione degli interventi;
- fare appassionare, fare incuriosire e coinvolgere direttamente il maggior numero possibile di individui all’esistenza delle ONG e alle loro attività;
- promuovere un terreno adatto alle iniziative specifiche di raccolta fondi;
- correggere un’eventuale percezione non positiva del sistema delle ONG così come oggi esso viene recepito, rafforzandone la credibilità e l’affidabilità;
- mirare a promuovere una più ampia adesione alle proposte effettuate dalle ONG;
- comunicare costantemente i valori positivi che il sistema ONG possiede e che deve esprimere più chiaramente e in maniera più articolata;
- evidenziare accuratamente i contenuti che sono comuni al sistema/concetto ONG.
Ora, una volta chiariti in linea di massima gli obiettivi della nostra azione di comunicazione, valutiamo, sempre in maniera essenziale, quali sono i punti di forza e di
debolezza in termini di immagine del caso che stiamo esaminando.
Punti di forza, presenti nel nostro esempio:
- il sistema ONG è un soggetto “specializzato” del più generale fenomeno del volontariato sociale;
- il sistema ONG è parte integrante delle attività di sviluppo della cooperazione;
- il sistema ONG consente alle realizzazioni di interventi internazionali;
- il sistema ONG è organizzato, ha potere contrattuale, cultura del servizio, professionalità, competenza, tecnologia, capacità di previsione;
- esprime valori etici come: lo sviluppo dell’indipendenza dei destinatari dei suoi interventi, la professionalità, la presenza su tutto il territorio mondiale.
Punti di debolezza, presenti nell’insieme di organizzazioni che abbiamo preso ad esempio e sul quale la nostra azione di comunicazione deve intervenire:
- il sistema non è sufficientemente percepito o è percepito come mero strumento della cooperazione governativa;
- la visione che il Sud del mondo è solo fame, sete, guerra e povertà;
- il limitato impatto, su scala mondiale, delle azioni mirate delle ONG, tanto da risultare inutili;
- il target costituito dalle persone non ancora sensibilizzate non avverte il bisogno delle ONG;
- il sistema ONG dovrebbe esprimere i suoi valori di affidabilità (le operazioni vanno a buon fine), sicurezza, rigore;
- il sistema non è soggetto attivo di comunicazione sui mass media; ne diventa mai oggetto;
- il sistema a volte sembra lontano dalla vita della società civile, che non può prefigurarsi da sola la sua utilità;
- a livello comunicativo c’è la “concorrenza” di grosse strutture nazionali: le piccole organizzazioni devono contrastare la “concorrenza” delle grandi che hanno un forte peso mediatico; poi
sono competitori anche le aziende profit che impostano le loro campagne utilizzando e inflazionando simboli propri del mondo della solidarietà. Se da un lato ciò è un evidente danno per il terzo
settore, dall’altro reca però con sé l’aspetto positivo di aver veicolato in maniera massiccia i suddetti simboli, consentendo quindi da oggi in poi di sovrapporre, differenziandoli, altri
messaggi facendo leva su un pubblico già abituato a questo tipo di comunicazione.
Certo ci sono molti limiti evidenti a queste campagne di comunicazione sociale e i rischi sono all’ordine del giorno, ad esempio:
- a volte le agende dei mezzi di informazione e quelle delle associazioni che propongono campagne informative non coincidono: in Italia, l’offerta di informazioni
che vengono dalle Ong è superiore alla capacità e alla sensibilità dei mezzi di informazione;
- la soglia di indignazione è sempre più elevata: scatta solo per tragedie epocali; es: un alluvione, una catastrofe umanitaria, o forse l’uccisione di un attivista
dei diritti umani;
- in Italia ci sono pochi editori puri e quindi l’informazione è condizionata dagli interessi economici, e di conseguenza anche la “scelta” delle notizie che
vengono dalla società civile;
- i mezzi di informazione sono molto più potenti delle “campagne di informazione”:se un volto noto della tv dice una castroneria, annulla automaticamente il lavoro
fatto in sei mesi da dieci Ong o Onlus (o in alternativa la nostra campagna può essere ridimensionata semplicemente minimizzando o non citandola affatto).
N.B. Come ho spiegato in apertura le cose cambiano molto in fretta nel mondo della comunicazione e nel mondo del No-profit. Alcuni dei contenuti di questa guida, scritti qualche anno fa,
potrebbero essere già "datati" ma spero siano stati buoni come spunti di riflessione.